Il contratto di concessione rappresenta uno strumento di sviluppo strutturale a lungo termine, idoneo a concorrere al miglioramento dei livelli di concorrenza del mercato, consentendo di beneficiare delle competenze del settore privato e contribuendo a conseguire innovazione ed efficienza nell’uso dei fondi pubblici.

La procedura di aggiudicazione della concessione segue, per quanto compatibili, gli schemi degli appalti di lavori e di servizi ma con una peculiarità, idonea a differenziarla dagli appalti, consistente nel trasferimento del rischio operativo di cui all’art. 165 D.lgs. n. 50/2016 in capo al concessionario nella gestione dei lavori o dei servizi. Tale rischio può riguardare sia il lato della domanda che quello della disponibilità – vale a dire la capacità di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti, o entrambi. Nello specifico, si tratta del rischio che, a normali condizioni operative, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione incidano sull’equilibrio del piano economico-finanziario, così da non garantire al concessionario il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti. Si tratta di un rischio che va ben oltre quello sopportato dall’appaltatore, comportando una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata sia idonea a incidere significativamente sul valore netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario. In altre parole, si tratta del rischio derivante dal fare impresa.

Presupposto necessario per una corretta allocazione dei rischi è l’equilibrio economico-finanziario, definito dall’art. 3, co. 1, lett. fff) del Codice come contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e di sostenibilità finanziaria. È ai soli fini del mantenimento di tale equilibrio che la stazione appaltante può stabilire, in sede di gara, un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nel riconoscimento di diritti di godimento su beni immobili di cui abbia disponibilità l’amministrazione e la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera affidata in concessione. Quanto alla discussa entità del contributo pubblico, se l’attuale formulazione dell’art. 165 lo consente nella misura massima nel 30% del costo complessivo dell’investimento comprensivo di eventuali oneri finanziari, l’ultima versione dello schema di decreto correttivo prevede l’innalzamento di tale soglia al 49%. Su tale scelta è intervenuto il Consiglio di Stato (parere n. 782 del 30 marzo 2017), adducendo che un simile innalzamento potrebbe confliggere con i criteri di ripartizione del rischio, mirati a ridurre la compartecipazione pubblica. La ratio è quella di evitare di sforare nel contratto di appalto. Sulla medesima linea interpretativa dei giudici di Palazzo Spada si pone anche la giurisprudenza europea. La questione dell’entità del contributo pubblico è argomento oggetto di dibatti, anche giurisprudenziali. A tal proposito, l’elaborazione giurisprudenziale distingue tra modelli concessori che fanno riferimento a tre tipologie di opere, a seconda della diversa capacità di generare flussi di cassa: opere c.d. calde, dotate di intrinseca capacità di generare reddito attraverso i ricavi di utenza (modello autostrade, gas, parcheggi); opere c.d. fredde, prive della capacità di generare reddito attraverso la fruizione da parte dei terzi ed in cui il privato realizza, gestisce e fornisce servizi all’amministrazione, traendo la propria remunerazione dai pagamenti effettuati dalla stessa (modello carceri o ospedali); opere c.d. tiepide per le quali, non essendo sufficienti i ricavi di utenza a ripianare interamente le risorse impiegate, risulta necessario un contributo pubblico per la fattibilità finanziaria (modello impianti sportivi e trasporto pubblico locale). L’ambito naturale dell’istituto è certamente quello delle opere c.d. calde o, al più, delle opere c.d. tiepide.

Quanto all’aspetto delle garanzie per la stazione appaltante, l’art. 165 dispone che la sottoscrizione del contratto di concessione sia condizionata alla presentazione del contratto di finanziamento, tant’è che il primo è risolto di diritto ove il contratto di finanziamento non sia perfezionato entro dodici mesi dalla sottoscrizione. Al fine di agevolare l’ottenimento del finanziamento dell’opera, il Codice precisa che i documenti di gara devono essere definiti in modo da assicurare adeguati livelli di bancabilità, intendendosi per tali la reperibilità sul mercato finanziario di risorse proporzionate ai fabbisogni, la sostenibilità di tali fonti e la congrua redditività del capitale investito. Inoltre, nel caso di procedure da affidarsi con procedura ristretta, nel bando può essere previsto che la stazione appaltante possa indire, prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte, una consultazione preliminare degli operatori economici invitati a presentare le offerte, al fine di verificare l’insussistenza di criticità del progetto posto a base di gara sotto il profilo della finanziabilità. Il bando può prevedere che l’offerta sia corredata dalla dichiarazione sottoscritta da uno o più istituti finanziatori di interesse a finanziare l’operazione.

Per quanto concerne la durata del contratto, se nella precedente disciplina si prevedeva un termine massimo di trent’anni, col nuovo Codice (art. 168) si prevede che la durata della concessione debba essere determinata dalla stazione appaltante nel bando di gara, non potendo in ogni caso essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti effettuati – sia iniziali sia sostenuti in corso di concessione da parte del concessionario, insieme ad una remunerazione del capitale investito.

Con riferimento alle ipotesi in cui la stazione appaltante decida di dar luogo a concessioni miste, aventi per oggetto sia lavori che servizi, l’art. 169 dispone che queste debbano essere aggiudicate secondo le disposizioni applicabili al tipo di concessione che caratterizza l’oggetto principale del contratto – secondo metodologie analoghe a quelle previste nei contratti misti di appalto.

La stazione appaltante può limitare il numero dei candidati a un livello adeguato, purché ciò avvenga in modo trasparente, sulla base di criteri oggettivi e in maniera tale da garantire un’effettiva concorrenza, dovendo essere le condizioni di partecipazione correlate e proporzionali alla necessità di garantire la capacità del concessionario di eseguire la concessione. Inoltre, nel bando di concessione o nell’invito a presentare offerte deve essere contenuta l’espressa indicazione che la concessione è vincolata alla piena attuazione del piano economico-finanziario, al rispetto dei tempi previsti dallo stesso per la realizzazione degli investimenti e che l’offerta debba contenere, a pena di esclusione, l’impegno espresso da parte del concessionario al rispetto di tali condizioni. L’art. 172 dispone che la stazione appaltante provvede a verificare le condizioni relative alle capacità tecniche e professionali e alla capacità finanziaria ed economica dei candidati, sulla base di certificazioni, autocertificazioni o attestati, i quali devono essere presentati come prova. Se per soddisfare le condizioni di partecipazione l’operatore economico decide di ricorrere all’avvalimento dovrà dimostrare alla stazione appaltante che disporrà delle risorse necessarie per l’intera durata del contratto.