Quando si parla di “stima del costo della manodopera” dobbiamo distinguere due casi: la stima del costo della manodopera effettuata dalla Stazione Appaltante in fase di progettazione dell’appalto, ai sensi dell’art. 23 co. 16 del D.Lgs. 50/2016 (nel prosieguo: Codice), e l’indicazione dei costi della manodopera che saranno effettivamente sostenuti in corso di esecuzione del contratto che l’operatore economico deve inserire, a pena di esclusione, all’interno della propria offerta economica, ai sensi dell’art. 95 co. 10 del Codice.

Le due disposizioni non vanno confuse, perché riguardano soggetti diversi, vanno applicate in momenti differenti del procedimento e hanno anche finalità non coincidenti.

La stima del costo della manodopera da parte della Stazione Appaltante è finalizzata a individuare una componente dell’importo a base di gara nei contratti di lavori e servizi, così come previsto dall’art. 23 co. 16 del Codice; proprio per tale ragione va effettuata in una fase antecedente alla pubblicazione della gara, quella della progettazione, durante la quale va individuato il “giusto” importo da porre a base di gara, che permetta agli operatori economici di concorrere, facendo un ribasso ma ottenendo comunque un margine di utile di impresa dopo aver sostenuto tutte le spese connesse all’esecuzione dell’appalto, tra le quali riveste sempre un ruolo rilevante il personale. Per garantire che la competizione tra i concorrenti non mini il diritto all’equa remunerazione per il personale, il legislatore all’art. 23 co. 16 ha previsto che la stima debba essere fatta prendendo a riferimento il costo del lavoro contenuto “in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione”. Il valore contenuto nelle suddette tabelle è un costo medio, ottenuto dal confronto tra “i valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali”. Il valore calcolato dalla Stazione Appaltante è quindi una mera stima utile innanzitutto a calcolare la base di gara: vengono infatti presi a riferimento valori di costo medi e non effettivi, applicati a un’organizzazione aziendale e del lavoro che sarà messa in piedi da un ipotetico appaltatore “tipo”, non potendo certo la Stazione Appaltante prevedere le molteplici modalità organizzative che saranno proposte dai concorrenti, potenzialmente tutte diverse tra di loro.

Proprio per queste ragioni, il costo del lavoro stimato dalla Stazione Appaltante non è “immodificabile”, come era stabilito dalla normativa in alcuni periodi del recente passato, ma ogni operatore economico dovrà indicare, all’interno della sua offerta economica, i costi del personale che stima di sostenere nel corso di esecuzione dell’appalto. Questa stima è cosa ben diversa da quella fatta a monte dalla Stazione Appaltante, in quanto si basa su calcoli legati all’organizzazione del lavoro che l’operatore intende mettere effettivamente in campo in caso di aggiudicazione dell’appalto: i conteggi sono fatti prendendo a riferimento un numero ben preciso di figure professionali da impiegare, con un inquadramento specifico, con un monte ore definito sulla base delle caratteristiche di ogni singola società in rapporto alle attività che dovrà eseguire, come stabilito dal capitolato e dalla propria offerta tecnica, qualora si applichi l’offerta economicamente più vantaggiosa. Un aspetto dirimente da sottolineare è che l’operatore economico al fine di calcolare i costi del personale da impiegare, data l’organizzazione che intende realizzare, prenderà a riferimento il contratto collettivo applicato nella propria azienda e quindi un costo del lavoro “reale” che verrà sostenuto; non si parla più di “costo medio” del lavoro, ma di costo effettivo.

Come già accennato, l’operatore economico è obbligato, a pena di esclusione, a indicare il proprio costo della manodopera all’interno dell’offerta economica, fatta eccezione per le forniture senza posa in opera, i servizi di natura intellettuale e gli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a). I costi della manodopera indicati nell’offerta vengono indagati dalla Stazione Appaltante al fine di verificarne la congruità nei termini previsti all’articolo 97, comma 5, lettera d) del Codice. Questa verifica va fatta sempre (tranne nel caso delle eccezioni previste dall’art. 95 co. 10), anche qualora non vada eseguita la verifica di anomalia dell’offerta

Nel caso della sola verifica di congruità dell’offerta, la Stazione Appaltante non dovrà quindi verificare tutti gli aspetti che di norma si valutano nell’ambito di una verifica completa dell’anomalia dell’offerta, ma solo ciò che concerne l’art. 97 co. 5 lett. d) e cioè che il costo del personale dichiarato dall’operatore non sia inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16. Su questo merita ricordare che il costo del lavoro indicato all’interno delle tabelle ministeriali è un valore medio; per condurre la verifica di congruità dell’offerta bisogna perciò far riferimento ai minimi salariali retributivi contenuti nei contratti collettivi tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, presi a riferimento per compilare le tabelle ministeriali del costo del lavoro, andando a verificare i minimi salariali ivi indicati e non il costo medio del lavoro previsto. Questo concetto è ben espresso nella sentenza del Tar Piemonte, Sez. I, 23/11/2020, n.754, che ribadisce la differenza tra costo medio orario del lavoro indicato nelle tabelle ministeriale e i trattamenti salariali minimi inderogabili: “Sulla differenza tra costo medio orario del lavoro indicato nelle tabelle ministeriale e i trattamenti salariali minimi inderogabili, il Collegio si limita a richiamare quanto sul punto condivisibilmente evidenziato dalla giurisprudenza: “occorre infatti distinguere il concetto di “minimi salariali”, indicati nelle apposite tabelle ministeriali (cd. trattamento retributivo minimo), da quello di “costo orario medio del lavoro” risultante dalle tabelle ministeriali. Soltanto per il primo, in caso di sua violazione, vale la sanzione dell’esclusione dell’offerta stabilita dall’art. 97, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, in quanto l’offerta che non rispetti i suddetti minimi salariali è considerata ex lege anormalmente bassa. E la diversità dei due concetti si coglie nel fatto che quello di trattamento retributivo minimo ha carattere “originario”, in quanto viene desunto direttamente dal pertinente contratto collettivo nazionale e non abbisogna, per la sua enucleazione, di alcuna operazione di carattere statistico-elaborativo, mentre il concetto di “costo medio orario del lavoro” è il frutto dell’attività di elaborazione del Ministero, che lo desume dall’analisi e dall’aggregazione di dati molteplici e inerenti a molteplici istituti contrattuali (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 21 settembre 2018, n. 5492; T.A.R. Venezia, (Veneto) sez. I, 04/12/2018, n. 1115)” (T.A.R. Calabria-Catanzaro, sez. I, 12 settembre 2020, n. 1448) e “siffatte tabelle – redatte dal Ministero competente – esprimono un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche, per cui esse non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia (Consiglio di Stato, V, 6 febbraio 2017, n. 501; altresì, sez. III, 13 marzo 2018, n. 1609; III, 21 luglio 2017 n. 3623; 25 novembre 2016, n. 4989)”.

In definitiva, la Stazione Appaltante dovrà avere cura di verificare che le retribuzioni effettivamente corrisposte ai lavoratori dell’operatore economico, risultanti dalla documentazione probatoria presentata in sede di richiesta di chiarimenti, non siano inferiori ai minimi salariali definiti nei contratti collettivi più rappresentativi a livello nazionale, consistendo quest’ultima circostanza nell’unica motivazione prevista dal Codice ai fini dell’esclusione di un’offerta per non congruità del costo della manodopera, non rilevando neppure che il costo della manodopera dichiarato dall’operatore economico non coincida con la stima fatta dall’Amministrazione in fase progettuale.