L’art. 32 co. 14 del Codice dei Contratti Pubblici prevede che: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante della stazione appaltante o mediante scrittura privata; in caso di procedura negoziata ovvero per gli affidamenti di importo non superiore a 40.000 euro mediante corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere, anche tramite posta elettronica certificata o strumenti analoghi negli altri Stati membri”.

È ormai pacifico che i contratti di appalto e concessione debbano essere stipulati in modalità elettronica, con apposizione di firma digitale delle parti coinvolte, a pena di nullità degli stessi. È anche chiaro che si può stipulare un contratto in una qualsiasi delle modalità indicate dalla norma in quanto sono alternative tra di loro (quindi: atto pubblico notarile informatico, forma pubblica amministrativa, scrittura privata), fatta salva l’eventuale disciplina più restrittiva prevista all’interno del regolamento di ciascun ente. Permangono però alcuni dubbi per quanto concerne la stipula mediante corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere.

Il primo quesito che ci si pone è per quali tipologie di contratti si possa ricorrere a questa modalità di stipula: il dubbio deriva dal fatto che il secondo periodo del co. 14 dell’art. 32 del Codice non è chiarissimo. A distanza di cinque anni dall’entrata in vigore dell’attuale Codice, possiamo concludere che la congiunzione “ovvero” vada intesa nel senso di “oppure” e quindi, in effetti, questa forma contrattuale possa essere usata sia nell’ambito di affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, indipendentemente dalla tipologia di procedura svolta, che a seguito di procedure negoziate di qualsiasi importo. Considerando la modalità semplificata di stipula di un contratto mediante corrispondenza, che avviene con lo scambio di lettere ognuna sottoscritta dalla parte che l’ha redatta senza concretizzarsi in un unico documento sottoscritto in modalità congiunta, è comunque consigliabile limitarne l’utilizzo a contratti aventi un limitato valore economico, quale quelli rientranti nell’ambito degli affidamenti diretti.

Il secondo quesito è se il contratto concluso mediate corrispondenza debba essere anch’esso stipulato in modalità elettronica: la risposta è affermativa, come rilevato anche dall’Anac nel Comunicato del Presidente del 4 novembre 2015, il quale segnala che anche per le scritture private concluse tramite scambio di lettere va adottata la modalità elettronica, a pena di nullità.

L’ultimo dubbio di cui ci occupiamo nel presente articolo riguarda l’apposizione dell’imposta di bollo, così come disciplinata dal D.P.R. n. 642/1972. In base a quanto ivi previsto, l’imposta di bollo è da apporre sin dall’origine nel caso di Atti rogati, ricevuti o autenticati da notai o da altri pubblici ufficiali e di Scritture private (artt. 1 e 2, Parte Prima della Tariffa), nella misura di € 16,00 per foglio, inteso composto da quattro facciate. Prima di procedere nel ragionamento, vale la pena premettere che in base all’art. 8 del DPR n. 642 del 1972 nei rapporti con lo Stato l’imposta di bollo, quando dovuta, è a carico dell’altra parte (quindi del privato), nonostante qualunque patto contrario.

Per quanto attiene al contratto mediante scambio di corrispondenza, dobbiamo considerare l’art. 24 della Tariffa, Parte Seconda, allegata al D.P.R. n. 642/1972 che prevede l’apposizione del bollo in caso d’uso[1] per gli atti redatti sotto forma di corrispondenza, quali lo scambio di lettere secondo l’uso del commercio. Si segnala però che la nota a margine dell’articolo 24 precisa che “l’imposta è dovuta sin dall’origine se per gli atti e documenti è richiesta dal codice civile a pena di nullità la forma scritta“. Nel caso dei contratti di appalto e concessione rientriamo in quest’ultima casistica, così come nel caso di tutti i contratti in cui la P.A. è parte: la forma scritta è infatti richiesta “ad substantiam”, come previsto dalla disciplina generale sui contratti pubblici, contenuta nella legge generale di contabilità dello Stato R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e come richiamato in numerose sentenze della Corte di Cassazione Civile, tra le quali si cita la n. 12540 del 17 giugno 2016.

Alla luce di quanto sopra rilevato, in che momento va versata l’imposta di bollo per i contratti stipulati mediante scambio di corrispondenza? Varie pronunce dell’Agenzia delle Entrate hanno cercato di fornire una risposta a questa domanda.

Partiamo innanzitutto dal MEPA: i contratti che derivano dalle procedure svolte sul Mercato Elettronico di Consip sono stipulati mediante scambio di corrispondenza consistenti nello scambio tra l’offerta dell’operatore economico e il documento di stipula generato in automatico dal sistema. Questi contratti sono da considerare come scritture private a tutti gli effetti, nonostante la modalità “semplificate” in cui sono concluse e perciò sono da sottoporre a bollo fin dall’origine, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 96/E_2013 e poi confermato in successive pronunce[2], in quanto: “Il contratto tra la pubblica amministrazione ed un fornitore abilitato è dunque stipulato per scrittura privata e lo scambio di documenti digitali tra i due soggetti concretizza una particolare procedura prevista per la stipula di detta scrittura privata”.

Il dubbio permane per i contratti stipulati in questa modalità fuori dal MEPA. L’Agenzia delle Entrate con interpello n. 954-15/2017 ha stabilito che i contratti di valore inferiore ai 40.000 euro stipulati con scambio delle lettere secondo gli usi del commercio scontano l’imposta di bollo solo in caso di registrazione. Questa indicazione ha spinto molti Enti a non assoggettare fin dall’origine i contratti di importo inferiore a 40.000 euro stipulati mediante scambio di lettere (consistenti nell’offerta dell’operatore economico e nell’accettazione da parte dell’ente), limitandosi a farlo in caso d’uso, cioè di registrazione dell’atto.

In questo scenario, è però sopravvenuta la Risposta N. 352 del 15/09/2020 che complica la situazione.

In questa risposta l’Agenzia delle Entrate prevede che i contratti di appalto e concessione, seppure vengano stipulati mediante scambio di corrispondenza, debbano essere sempre sottoposti a bollo sin dall’origine in virtù della nota inserita all’art. 24 della Tariffa sopra richiamata, anche a seguito di procedure non svolte all’interno del MEPA. La Risposta è relativa a contratti di importo superiore a 40.000 euro.

Considerando quanto previsto dal D.P.R. n. 642/1972 e dai vari interventi dell’Agenzia delle Entrate si può quindi concludere che i contratti stipulati mediante scambio di corrispondenza nell’ambito del MEPA siano da considerare delle forme semplificate di scritture private da sottoporre a bollo sin dall’origine; anche i contratti stipulati mediante scambio di corrispondenza a seguito di procedure svolte fuori dal MEPA sono da sottoporre a bollo fin dall’origine se di importo superiore a 40.000 euro. Il dubbio permane nel caso di contratti di appalto e concessione di valore inferiore a 40.000 euro: per via della nota apposta all’art. 24 della Tariffa, Parte Seconda, allegata al D.P.R. n. 642/1972 si dovrebbe versare il bollo sin dall’origine anche per questi importi, ma una possibilità di deroga è fornita dall’interpello n. 954-15/2017 che riconduce la fattispecie tra quelle per le quali il bollo è richiesto solo in caso d’uso, rifacendosi al contenuto dell’art. 24 piuttosto che alla nota.

Non ci resta che attendere future indicazioni dell’Agenzia delle Entrate che facciano luce su questo punto ancora non del tutto chiaro.


[1] Art. 2, co. 2, D.P.R. n. 642/1972: “Si ha caso d’uso quando gli atti, i documenti e i registri sono presentati all’Ufficio del registro per la registrazione”.

[2] Tra le più recenti, si cita la Risposta N. 370/2019.